Comunicare significa farsi capire

ComunicareMi è capitato, parlando con un collega, che non condividessimo il significato di alcuni descrittori del vino. Banalmente, lui intendeva una cosa e io un’altra.

E allora mi sono messa a leggere con più attenzione le descrizioni organolettiche di vini che si trovano in rete o, più facilmente, sui social network. Perché proprio queste? perché sono quelle più istintive, spesso non mediate da studi, dove la gente butta lì la prima cosa che gli viene in mente pensando di far capire le sensazioni che ha provato.

Ma, come ben sanno i linguisti, ogni parola che tenta di descrivere sensazioni rimanda al nostro passato, ai nostri ricordi, quindi lo sforzo che dovremmo fare quando parliamo (o scriviamo) è far sì che questi nostri rimandi attingano a un tessuto comune. Altrimenti ogni comunicazione è nulla cioè inutile, se diamo alla parola “comunicazione” il significato normalmente accettato di “mettere in comune delle informazioni (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune)“. Volendo scomodare la linguistica, infatti, nel trasmettere un messaggio è necessario che il destinatario della comunicazione sia in grado di “decodificare” il messaggio, cioè di interpretarlo secondo il senso che gli ha dato colui che il messaggio l’ha espresso.

Purtroppo molto spesso (e nella storia di esempi analoghi ne tossiamo trovare a migliaia) l’intento di chi posta una foto commentata di un vino o semplici “spiegazioni” non è quello di farsi capire, ma di stupire. E tanto più si stupisce, quanto più si dà l’idea di essere depositari di un sapere esclusivo. Lo facevano i sacerdoti di antiche religioni, lo fanno i guru del web.

Forse la soluzione consiste, quando si descrivono i profumi,  nell’attenersi a cose “normali”, cioè che fanno riferimento alla nostra vita quotidiana e che sono alla portata di tutti, senza per forza voler scomodare sentori di cose mai sentite: da improbabili fiori sconosciuti di cui si sanno mala pena i nomi, a frutti esotici incontrati per sbaglio in un villaggio turistico. Per non parlare delle descrizioni gustative: lì basterebbe attenersi alla scienza, per la quale acidità, tannini, zuccheri, così come altre componenti percepite in un vino sono tutte cose oggettive.

 

16 thoughts on “Comunicare significa farsi capire

  1. L’equilibrio è sempre un fatto così difficile da raggiungere, e da mantenere. Per quanto riguarda il post di Stefania mi pare che il problema derivi dall’uso di un linguaggio che sia comune, e condiviso una volta per tutte, quanto a descrizioni e descrittori. Questo sappiamo che viene dato dall’accademia, dallo studio e dall’applicazione coerente dei termini tecnici, e lo scopo non è nemmeno il piacere dell’erudizione (oddio, anche le basi servono…) quanto il desiderio di capirsi. Poi, data la natura della bevanda, succede che gli elementi di narrazione prendano il sopravvento, ed esattamente quando la narrazione diventa barocca finiamo per entrare in quell’ambito comunicativo fumoso e in definitiva respingente. Ironico pensare che lo scopo di questi, per lo più, è esattamente il contrario: vorrebbero rendere attraente il vino, attraverso quella narrazione. Tuttavia io che non sono un comunicatore, quanto piuttosto un commerciante, so per esperienza che parlare con i termini tecnici a volte appare bizzarro – e nuovamente, ironia vuole che per la guida io non possa certo usare linguaggi coloriti. Quindi, se un vermentino per la guida al naso ha una gradevole nota salmastra, conversando col cliente diventa “ti pare di stare a Bergeggi col vento di mare”. Però insomma bisogna sempre stare in equilibrio.

    Finisco con una cosa che spero vi faccia sorridere. Tutte le volte che leggo di linguaggi funambolici, poetici in apparenza, mi torna in mente questa cosa di De Andre’ che risponde cosi’ alla domanda “ti senti un poeta?”

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  2. All’università, nei seminari di filosofia, il numero di autori citati da un commilitone era di solito inversamente proporzionale alla sua comprensione del pensiero in discussione. Credo che la stessa osservazione sì possa fare anche nel campo della comunicazione del vino quando si arriva ai sentori.

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  3. Ritengo che molti siano affetti dalla sindrome di Dunning-Kruger e usino un linguaggio iperbolico solo per mascherare la loro leggerezza degustativa. In questo modo si allontana il lettore e l’appassionato non maniacale, inoltre si crea una casta assolutamente autoreferenziale con poca presa sugli individui che sarebbero interessati al vino che si sentono inadeguati. Insomma si complica una cosa semplice.

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    • Complicare una cosa che può essere semplificata è il contrario della divulgazione e della comunicazione. Se Piero Angela parla della teoria del multiverso e fa capire cose di quel genere a un pubblico generalista, a maggior ragione si potrebbe e si dovrebbe farlo con il vino, che non è così difficile da spiegare.
      Mario Tozzi ha di recente spiegato i terremoti tagliando un millefoglie. Capivano anche i deficienti.

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    • Sicuramente comunicare il tv, cioè parlando e spesso facendo vedere ciò di cui si parla è diverso dal comunicare per iscritto, ma sono convinta che la semplificazione e soprattutto l’uso di un linguaggio familiare a chi ascolta sia fondamentale

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    • Faccio un esempio. E’ molto più utile e facile da far capire se si affronta l’argomento partendo dagli abbinamenti e non dall’analis.i organolettica, che si può recuperare di volta in volta. Le persone sono più interessate alle “istruzioni per l’uso” di un vino che ai suoi profumi “fruttati”. Poi alcuni termini, fruttato è uno, hanno significati ambigui. La frutta è dolce, per molti il “fruttato” è un sapore dolce, non un profumo di frutta determinato da presenza di particolari esteri. Queste cose vanno considerate quando si prova a “comunicare” E basterebbe frequentare qualche wine bar per capire di più le esigenze del pubblico “orecchiante”.

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    • Ti è mai capitato di sentire questo scambio di battute:
      – Vorrei un bicchiere di bianco.
      – Lo vuole secco o fruttato?
      Tanto per confermare quanto dicevi. Per un esperto di vino l’opposizione secco/fruttato è un’eresia, ma la dice lunga sui gusti dei consumatori.

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  4. Concordo con te che ormai l’intento di molti è più stupire che comunicare. Per questo spesso vengono tirati in ballo sentori o descrittori di tutti i tipi , quasi a gara di chi lo trova più strano o più raro. Il problema è che per non cadere nella banalità si rischia di finire nel ridicolo. E sono sempre più quelli che ahimè lo stanno facendo… ma il lettore è il primo ad essere stufo ormai di essere preso in giro. O almeno spero

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    • Tra esperti, ferma restando la individualità dei gusti, ci si dovrebbe capire se il linguaggio comune è professionale.
      Descrivere, poi, non è giudicare…
      Comunque taluni modi e gerghi usati dagli “esperti” nel descrivere i vini – per non addetti ai lavori – risultano un pó criptici.

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  5. Spunto bello ed interessante. Non sono però in accordo su tutto. Spesso si usano termini, che più che significati semantici, evocano sensazioni.
    Faccio un esempio, se voglio esprimere un profumo o un sapore che mi lascia pensare ad un vino acidulo giovane minerale fresco e verticale, potrei parlare di mela verde croccante, anche senza sapere il gusto o il profumo che ha il frutto descritto, provochero’ (credo) nel lettore la giusta percezione.

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    • Finché parli di mela verde fa parte del patrimonio comune di noi italiani (ed europei in genere) ed è proprio quello che intendevo. L’importante è che no
      n tiri fuori qualcosa di semi sconosciuto…

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    • Forse l’esempio non è dei migliori. Intendo dire che a volte le parole suscitano evocazioni sensoriali anche senza conoscere i profumi e i gusti dei descrittori

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    • Sì questo è vero, ma sono convinta che bisogna muoversi su un terreno comune, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto contrario, cioè non coinvolgre chi legge (ascolta) e al contrario escluderlo

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    • Ti è mai capitato di sentire questo scambio di battute:
      – Vorrei un bicchiere di bianco.
      – Lo vuole secco o fruttato?
      Tanto per confermare quanto dicevi. Per chiunque capisca un po’ di vino l’opposizione è rccapricciante, ma aiuta a capire…

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