Se la comunicazione è ferma al secolo scorso

brochure-vinoQuante aziende hanno siti inguardabili, fermi a 2-3 anni fa? Quante non sono presenti su Facebook? Quante non conoscono i social media?

Sono tanti anni (troppi!) che seguo il mondo del vino e in questi decenni ho visto evolversi completamente il modo di fare comunicazione nel settore. Alle origini (e posso davvero dire così, visto che sto parlando di metà anni Ottanta) tutto era molto naif, dal punto di vista di un’azienda produttrice il massimo che si potesse fare era stampare dépliant più o meno accattivanti, cercare di catturare l’attenzione dei giornalisti che scrivevano sulle poche riviste di settore o, ancora meglio, di quei soloni che avevano rubriche sulle testate generaliste e infine affidarsi alla parlantina di agenti/rappresentanti e, all’estero, importatori. Per il resto contavano i rapporti umani e i chilometri percorsi: quanto il produttore fosse “simpatico” al ristoratore o all’enotecaro di turno, quante volte lo visitasse, quanto mostrasse di capire le sue esigenze.

Poi è iniziata l’alba di una nuova era con l’uscita della guida GamberoRosso/Arcigola, 30 anni or sono. Per i poveri produttori “tutto” si giocava in quella malefica degustazione dove un gruppetto di degustatori decretava il successo di un vino e di chi c’era dietro. La presenza in guida era la carta d’identità, poco ma già qualcosa: un bicchiere poco o niente, 2 bicchieri già un bel viatico, 3 bicchieri svolta per  l’attività, ordini a paletta, cantina vuota.

Ogni sforzo comunicativo era rivolto a loro, ai famigerati degustatori “della” Guida. Si cercava di stabilire un rapporto a prescindere dal momento della degustazione, di farli venire in cantina, di sentire il loro parere prima della degustazione ufficiale, in modo da poter aggiustare il tiro. E sì, perché inutile negarlo: c’è stato anche chi, in quegli anni d’oro, faceva “la barrique per le guide”, il meglio del miglior vino per avere il massimo delle chance. Perché in effetti nel giro di pochi anni le guide sono aumentate di numero e con esse le possibilità di conquistarsi un posto al sole, anche se il vero successo lo decretava l’Arcigambero. Si poteva diminuire la grammatura della carta delle brochure aziendali, ridurre le copie delle cartelle stampa e affidarsi alle guide, il vero volano della comunicazione enoica anni ’90. Di riviste specializzate ne esistevano ancora, ma il loro peso era calato sensibilmente. Un po’ di publicità tabellare, magari qualche pubbliredazionale e il più era fatto.

social-167x110Ma ecco sul più bello la rivoluzione internet e soprattutto social: la “gente” inzia a dialogare direttamente (con la stampa, con i produttori, con altri appassionati) dapprima tramite i forum, poi grazie ai social media: facebook (che in Italia fa la parte del leone), twitter etc. Una vera rivoluzione che non tutti hanno capito. Questo per usare un eufemismo, ma sarebbe poco carino dire quasi nessuno.

E adesso, poveri produttori, come fare? Bisogna rimboccarsi le maniche (ancora una volta) e stare al passo con i tempi. La parola d’ordine è “aggiornamento”. Non si può avere un sito statico, imbalsamato nel tempo come le vecchie brochure; non si può non avere una pagina Fb costantemente aggiornata; non si può non cinguettare, i followers twitter sono in agguato e, perché no?, sarebbe auspicabile anche avere un canale youtube, per raccontarsi in maniera più immediata… e siccome questa è l’epoca in cui non esiste fedeltà, chi si ferma è perduto.

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8 thoughts on “Se la comunicazione è ferma al secolo scorso

  1. Vero…tanti produttori secondo me con pochi tocchi potrebbero avere dei siti belli e informativi, senza di dover usare Google Translator (orrore:-o), e invece rivolgersi a traduttori senza dover spendere troppo. Poi la questione social media, se si vuole un immagine piú professionale si deve rivolgersi a chi sa gestire e fare delle strategie di social media e online marketing, senza che deve essere stracomplicato e carissimo. Qui tutti in Italia pensano Facebook, ma in veritá ci vuole ben piú di aprire una pagina Facebook. Se poi si vuole andare nella direzione di comunicare con dei wine communities non italiano e pensare meglio al storytelling della tua azienda agricola, ci vuole altro che Facebook. Qui di usare la cugina del suocero o simile che dice che fa social media manager, oppure il wine tour guide che dice che puó gestire tua pagina FB e scrivere un pó, non porterá mai a risultati desiderati e sono soldi buttati via secondo me. Ma questo é una mentalitá che forse pian piano cambierá. Cerco sempre di offrire support e training per far vedere come puó migliorare, con pochi tocchi piú professionali. 😉

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  2. Non tutti i professionisti specializzati costano così tanto come si immagina a meno che non si vada a cercare il mega studio milanese che poi non sempre è così preparato nel settore vino. Per sapere chi è serio e chi no basta chiedere ad altri produttori che già se ne servono, ai giornalisti e così via. Insomma ci vuole un po di lavoro di selezione, lo stesso che si fa quando si scelgono le barrique nuove o una nuova pressa. E in piu vale sempre il detto “pensi che un professionista sia caro perché non sai quanto ti costerà uno che non lo è “

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    • Maddalena, lo so. Ma per tanti piccoli, che non si trovano a proprio agio a fare queste cose (il che, mi ripeto, non li giustifica, hanno scelto in qualche modo di fare gli imprenditori e quindi dovrebbero almeno provare a farlo) non è facile. Pigrizia ed incuria sono poi un altro paio di maniche.

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    • tutto giusto, però per i piccoli spesso non è (semplicemente) possibile rivolgersi a chi lo fa di mestiere. Per non parlare di quando, per inespereienza o non conoscenza, vengono abbindolati da ‘sedicenti’ professionisti. (il che non giustifica ma rende completo un quadro già triste di suo) 😉

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    • Hai ragione, ci sono tantissime persone che si spacciano per esperti. Siamo passati da un periodo in cui le “signore bene” si spacciavano per PR solo perché avevano successo nei salotti di casa loro, all’epoca in cui qualsiasi smanettone di pc si spaccia per social media manager… I professionisti sono un’altra cosa.

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