Quattro chiacchiere sui vini romagnoli

Stefania VinciguerraDurante il Vinitaly recentemente concluso mi trovavo al padiglione dell’Emilia Romagna e sono stata intervistata da InCantina Tv dell’Enoteca Regionale sui vini romagnoli (il video, per chi volesse vederlo, è in calce al pezzo). Al di là del fatto che è stato tagliato il discorso sul vino Bursòn (troppo lungo immagino) e che quindi il passaggio successivo al vitigno centesimino risulta troppo brusco, emerge anche così una cosa che mi ha molto colpito in questi anni, ed è la varietà straordinaria di piccole-grandi uve che costituiscono un patrimonio davvero unico.

Sappiamo tutti che l’Italia ha una ricchezza di uve autoctone, cioè locali, come nessun altro Paese al mondo e che ogni regione ha le sue assolutamente distintive, ma in questo quadro generale la Romagna non è seconda a nessuno. Tutti parlano del Sangiovese di Romagna, giustamente, che è un vino che si sta ritagliando un suo spazio ben diverso da quello dei sangiovesi toscani ed è in costante crescita qualitativa, ma nel video parlo del Bursòn, che è un vino da lungo invecchiamento prodotto nei dintorni del paesino di Bagnacavallo da un’uva che aveva rischiato fortemente l’estinzione, ma di cui si è rivenuta una pianta nell’azienda Longanesi. 20151123_203913Da lì l’uva è stata recuperata e riprodotta verso la fine degli anni ’70 ed ha preso appunto il nome del suo “scopritore”: uva longanesi. Si tratta di un vitigno rosso abbastanza tardivo, estremamente colorato e dai tannini piuttosto vivaci. Viene vinificata con un parziale appassimento (cioè con una tecnica che ricorda un po’ l’Amarone della Valpolicella) e se ne ricava un vino ricco, corposo, a volte un po’ rustico ma accattivante. Sicuramente diverso dal solito.

i-centesiminiCito poi il centesimino, un’uva riscoperta anch’essa per caso, stavolta più anticamente, negli anni Venti, nel giardino di una residenza nobiliare settecentesca nel centro di Faenza. Molto diffusa nel dopoguerra, fu lentamente abbandonata per poi tornare alla ribalta in questi anni, avendo ottenuto l’iscrizione al Registro Nazionale delle varietà di viti solo nel 2004. Se ne ricava un vino che è un’esplosione floreale di rosa, viola, lillà e glicine. Mi ricorda per certi versi il Lacrima di Morro d’Alba, nelle Marche, ma non pare abbiano nulla a che fare. Il mio consiglio è di cercarne una bottiglia e di assaggiarlo: la carica olfattiva è così intensa da inebriare.

Tenuta Santa LuciaSempre tra le varietà “strane” che crescono in Romagna, è il caso di ricordare due uve bianche: il famoso e il ruggine (quest’ultimo in realtà di origine modenesi, ma trasferito un po’ più in là). Stesso destino delle due “sorelle” rosse, anche queste uve sono state riscoperte di recente. Il famoso ha caratteristiche di aromaticità che possono ricordare un moscato: note floreali dolci, frutta matura, esotica e frutta essiccata. Il ruggine, invece, tende verso note più verdi, come il tè verde, e agrumate accompagnate comunque da più classici toni fruttati.

I produttori migliori per i vini prodotti da queste uve sono Randi, Poderi Morini, Leone Conti, Tenuta Santa Lucia

Provare per credere.

 

4 thoughts on “Quattro chiacchiere sui vini romagnoli

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  3. Stefania ho gestito un bar per 10 anni e ho maneggiato tanti vini, ma stranamente non ho mai considerato quei tre che hai riportato nell’intervista, dovrò mettermi a pari al più presto.

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    • Sono appena rientrata dalla Romagna e confermo che almeno il Centesimino non dovrebbe mancare in un winebar. E’ profumatissimo e ne ho assaggiato una versione in barrique che ne ammorbidisce i tannini. Uno sballo! Se ti interessa, si tratta del Traicolli dei Poderi Morini, una meraviglia

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